LETTERE DAL MEDIORIENTE, LA TERZA
In questa lettera vorrei raccontarvi una storia, una delle tantissime, tragiche storie che ogni giorno accadono in Siria.
Siamo abituati a contare i morti di questa guerra con i numeri, ne leggiamo le cifre sui giornali o in internet dopo ogni bombardamento, un po’ assuefatti cambiamo pagina spesso ignorando che dietro ogni singola morte ci sono sogni, c’è una vita, un amore. Oggi sono migliaia a non esserci più, persi e confusi tra le altre notizie del mondo.
Ho deciso di raccontare la storia personale di alcuni di loro, sperando così che questi numeri possano finalmente avere dei volti e dei ricordi che siano più di una news di trenta secondi.
Ho deciso di farlo qui perché ognuno di voi possa prendersi il tempo di leggere, interrompere, rileggere, senza che sotto il titolo ci sia scritto: ”Tempo di lettura 30 secondi o 2 minuti”, perché ormai vogliono calcolare il tempo di qualsiasi cosa facciamo, come se davvero le vite si potessero rinchiudere in pochi secondi di lettura.
La storia che vi racconto è quella di una famiglia, è la storia di Ali, Saleema e la piccola Raja, ve la racconto dopo aver fatto qualcosa che i giornalisti ormai non fanno quasi più: ho chiesto il permesso ai parenti rimasti, ho chiesto il permesso di poter raccontare qualcosa senza strumentalizzarla, l’ho chiesto perché questa storia, molto privata e personale, forse potrà far diventare più umana una situazione che di umano non ha più nulla.
Conobbi Ali nella mia seconda visita al confine Siriano, ci incontrammo a Latakia, caotica città portuale al confine con la Turchia, a Latakia c’erano molti dei suoi parenti, il caos in Siria non era ancora esploso dappertutto, si cercava di reprimere i piccoli focolai di protesta a Damasco, Aleppo, Homs e Hama.
Ali era cugino di un mio altro grande amico siriano che riuscì a rifugiarsi, mesi prima, in Libano, tanti della famiglia scapparono quando il cielo si riempì di bombe e polvere. Ali invece rimase, mi ospitò, come tutti fecero, trattandomi come un fratello, anche lui pensava di andar via ma prima avrebbe voluto sposarsi.
Ali era un ragazzo dalla faccia simpatica, i capelli nerissimi, molto magro ma con tantissima energia, dopo il nostro incontro tornò a lavorare a Damasco dove riparava computer e qualsiasi cosa avesse un componente elettronico.
Da qualche tempo corteggiava Saleema, figlia di un amico di suo padre, le famiglie si conoscevano da sempre e così dopo due anni di fidanzamento, la sposò. La sposò in piena guerra tra governo e ribelli, perché una bomba non può impedire che la vita continui, perché dopo un po’ che la conosci, con la paura riesci anche a conviverci e fare qualcosa di normale come sposarsi di questi tempi, diventa eccezionale. Un anno e mezzo dopo nacque la piccola Raja, il nome fu scelto proprio pensando che la guerra presto sarebbe finita, Raja in arabo vuol dire: speranza.
La nascita fu annunciata con un post a tutti gli amici di Facebook, era nata Raja, ma nemmeno per lei le bombe cessarono di cadere.
Passarono due anni, i vicoli del mercato di Aleppo non esistevano più, le strade di Damasco erano piene di militari, lo scenario era fatto di palazzi semi distrutti che cedevano lentamente con un rumore sinistro, costringendo così gli abitanti a camminare al centro della strada per il pericolo di crolli.
Quando un paese è così in ginocchio, sembra che non ci sia più spazio per nulla a parte la guerra, la famiglia di Ali come tante altre invece si adattò, tutti provarono a continuare la propria vita, tantissimi altri invece: cugini, fratelli e sorelle, andarono via.
Alcuni fuggirono in Libano, altri in Germania, qualcuno riuscì a raggiungere gli Stati Uniti, Ali no, rimase, rimase perché Saleema si ammalò, melanoma, è così lui, Saleema e la piccola Raja, un anno e mezzo fa, cominciarono la loro battaglia in un paese in guerra.
Due volte a settimana la famiglia si recava a Dar'a, un’ora di auto per raggiungere un centro dove Saleema si sottoponeva alle cure per il tumore, la piccola Raja di tre anni viaggiava sempre con loro, nata nella guerra aveva sempre visto il paese con le strade occupate dai militari, ascoltando il frastuono di spari e bombe, pensando forse che la vita doveva avere avuto sempre quell’aspetto, quel suono e quell’odore.
Poco tempo fa, in uno di questi viaggi rientrando da Dar’a, Ali, Saleema e Raja sono stati assassinati, la loro auto a un check point è stata crivellata di colpi dai militari di Assad, nessuno di noi ha potuto avere una dinamica chiara, i militari hanno detto che l’auto non si è fermata al posto di blocco e così hanno aperto il fuoco, hanno detto…
Sono morti tutti e tre mentre cercavano di sopravvivere a una tragedia nella tragedia, in tempi come questi nemmeno la morte può avere il suo spazio, la maggior parte della famiglia è fuggita dalla Siria e non può tornarci, non oggi, quindi anche il funerale non contava più di venti persone.
Io non so come si sopravvive a quello che sta accadendo in Siria, ho visto gli esseri umani sopportare qualsiasi sofferenza e adattarsi a ogni situazione, ma in questo caso, per chi? E perché? A cosa ci si aggrappa? Alla religione? Alla sorte? Alla speranza? Chi è nato nella guerra come Raja, riesce a immaginare un mondo diverso da quello? E noi siamo ancora capaci di immaginare qualcosa?
Mentre diversi Stati e Unioni dichiarano:
“ Non siamo d’accordo con quello che sta accadendo, quella in Siria è una vera tragedia” e tantissime altre parole di circostanza, non si è fatto ancora nulla di veramente importante e pratico per fermare questa mattanza.
Questa è una delle tantissime tragedie che accadono ogni giorno in Siria, forse conoscendole una a una, i morti non saranno più solo numeri sui giornali.
Quando chiesi ad alcuni parenti di Ali e Saleema cosa avrebbero voluto fare, nelle loro parole non c’era vendetta né rabbia, mi dissero solo:
“Vorremmo tornare in Siria, andarli a trovare al cimitero, onorarli, vorremmo tornare in una Siria senza guerra, vorremmo tornare a casa”.
John Ruskin scrisse:
“Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio, non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia”.
Angelo Calianno
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