C' ERA UNA VOLTA LA GUERRA
Articolo pubblicato ed estratto da www.peacereporter.net
“C’era una volta”.
Le favole e le storie, qui in Sierra Leone, cominciano tutte così.
I bambini non hanno giocattoli con cui distrarsi e hanno imparato ad inventare una storia per tutto: perché c’è il sole, perché piove per 4 mesi ininterrottamente durante la stagione delle piogge. Ma non tutta la Sierra Leone ha le stesse caratteristiche. Cambia come cambiano i suoi scenari, dalle bellissime spiagge di Freetown alle strade polverose della zona centrale, dalle lussureggianti colline e foreste del nord ai monti Bintumani ai confini con la Guinea.
Freetown. Appena si arriva a Freetown, si fa fatica a credere che questa città fu messa in ginocchio da una delle più sanguinose guerre africane, durata 11 anni, e che si porta come eredità i fantasmi di amputazioni e stupri difficili da dimenticare. Ma oggi la città è cambiata. La gente è fin troppo cordiale: c’è sempre qualcuno che cerca di improvvisarsi guida per racimolare qualche soldo dai turisti, in questa zona quasi del tutto assenti. Ma le eredità della guerra sono difficili da sopportare. Basta visitare i campi che si occupano dei mutilati di guerra o dei rifugiati per capire cosa deve essere stato vivere in quei terribili giorni di guerra. Andrew.
Andrew ha 23 anni. Durante la guerra, quando gli venne amputato un braccio, ne aveva solo 16. Mi parla della sua disgrazia con una tranquillità allarmante: “Lo scopo dei ribelli del Revolutionary United Front era quello di terrorizzarci, così quando arrivavano fermavano i ragazzi come me per strada e amputavano gambe e braccia a colpi di machete. Se avevano dormito bene ci dicevano che ci avrebbero tagliato solo una mano o un piede, altrimenti tutto il braccio o la gamba”. Gli sguardi che incontro camminando per i campi dei mutilati non sono più spaventati, né commossi, sono semplicemente duri, pieni di rabbia; la rabbia di chi si porta segni con cui dovrà vivere ogni giorno della sua vita.
Ospedali. Ma Freetown, grazie anche alla presenza di organizzazioni come Médicines Sans Frontières ed Emergency, si sta riprendendo. Il problema più grande ora, secondo Willemieke vol Broek, Medical Coordinator di Médicines Sans Frontières, è la mortalità infantile. Soltanto in due delle loro cliniche, senza considerare gli altri undici ospedali nei quali operano, muoiono circa 20 bambini al mese, metà di malaria. Freetown deve convivere anche con una crescente prostituzione, sia femminile che maschile, favorita anche dalla presenza di alcuni bianchi (funzionari dell’Onu in libera uscita o uomini d’affari) che la sfruttano.
Kabala. Diversa è la situazione al nord del Paese. Qui la gente è più semplice, la prostituzione in zone come Kabala, non lontano dal confine con la Guinea, è praticamente assente, ma mancano le statistiche che permettono un efficace controllo delle malattie. “Qui quando ti ammali muori, e non sai se è Aids, malaria, tifo o meningite”, mi riferiscono due padri missionari che vivono da più di 20 anni nella zona.
Voglia di pace. La gente che si incontra è molto cordiale, i bambini giocano lungo le strade polverose e i ragazzi ti porgono volentieri un bicchiere di vino di palma per chiacchierare un po’. La consapevolezza che hanno della loro situazione è incredibile. Yeni, un ragazzo che ha molta voglia di parlare, si sfoga: “La gente fuori da qui deve sapere che vogliamo vivere in pace, che la guerra ora è un brutto ricordo, ma abbiamo bisogno di tanto aiuto, abbiamo bisogno di acqua che non ci porti malattie e di una dieta più sana”. Yeni non ha tutti i torti. Camminando per Kabala si possono trovare vecchi impianti di depurazione e tubazioni che permettevano di avere acqua corrente nelle abitazioni dei coloni inglesi negli anni ’60. Se era possibile all’epoca, cosa si potrebbe fare oggi?
Religioni. Nonostante le tante storie di guerre passate, stupri e soprusi, la gente qui ha voglia di pace. Lo si capisce dal rispetto reciproco per le persone e per le religioni, da come si cercano di evitare i discorsi che riguardano quei giorni di follia. Qui convivono in armonia diverse culture e religioni come Cristianesimo, Islamismo e più di venti religioni tribali diverse. Una lezione di civiltà che in tanti paesi, Europa compresa, dovrebbe essere presa ad esempio.
Angelo Calianno
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